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Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 19,27-30)
In quel tempo, Gesù disse: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola”.
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La mano del Pastore
Nel vangelo di domenica scorsa abbiamo incontrato il Risorto che chiamava Pietro a seguirlo (“seguimi” Gv 21,19), dopo avergli affidato per tre volte il suo gregge (“Pasci le mie pecore” Gv 21,15.16.17); oggi la liturgia si focalizza su Colui che siamo tutti chiamati a seguire, il Pastore “che dà la vita per le pecore” (cfr. Gv 10,11.15.17.28). Per non dimenticare che, qualsiasi vocazione abbiamo nella Chiesa, unico è il Pastore che ci invita a “seguirlo ovunque vada” (Ap 14,4) e “noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo” (Sal 100,3). Il vangelo di oggi è molto essenziale e concentra in pochi versetti i tratti del Pastore. Poche pennellate sufficienti per tracciare il volto di Gesù sia nella sua relazione con i discepoli sia in quella con il Padre. Nel volto dell’Agnello/Pastore Gesù si riflette il volto del Padre, il “Pastore d’Israele” (Sal 80,2): “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). Non dobbiamo dimenticare che l’immagine del pastore usata da Gesù (tanto familiare ai suoi interlocutori), percorre tutta la Scrittura, a partire da Abele, passando per Abramo, Isacco, Giacobbe fino ad arrivare a Davide e ai re di Israele. Dio sembra avere una predilezione per questi uomini che da pastori di greggi sono chiamati a divenire pastori di un popolo, prendendosi cura del gregge di Dio nel Suo nome. Tanto che quando lungo la storia di Israele ci saranno dei “pastori” che “pasceranno se stessi” invece del gregge di Dio, Dio stesso interverrà per cercare, passare in rassegna, radunare e condurre le sue pecore, suscitando “per loro un pastore che le pascerà” (cfr. Ez 34; Ger 23,1-5). E Gesù è proprio il “Pastore supremo” (1Pt 5,4) promesso dal Padre, Colui che è venuto perché “abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza” (Gv 10,10). Il primo tratto del volto del Pastore Gesù che il vangelo di oggi descrive consiste nella conoscenza delle pecore: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Il nostro Pastore ci conosce. Nella Scrittura “la conoscenza” non è prima di tutto qualcosa di razionale (io so chi sei), ma riguarda qualcosa di “relazionale” e di “sperimentato”. Si conosce, quando si è sperimentata una cosa/persona e si è rimasti toccati dall’incontro con essa. Il “conoscere” quindi esprime una relazione unica e coinvolgente che lega il Pastore alle pecore e le pecore al Pastore: “conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me” (cf. Gv 10,14). È una relazione tanto intima e personale dove entra in gioco l’amore (infatti questo verbo indica nella Bibbia il rapporto sponsale fra un uomo e la sua donna: “Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino…” (cf. Gen 4,1; 4,17; 4,25…; o nel Nuovo Testamento Maria dirà all’angelo: “non conosco uomo” Lc 1,34). Quindi possiamo riconoscere il nostro Pastore dalla forma della relazione che ha con noi, sue pecore: l’amore (“le conosco”). E di qui ecco il secondo tratto del volto del Pastore Gesù che il vangelo di oggi ci presenta. L’amore del nostro Pastore si spinge fino a “dare la vita per le pecore” (Gv 10,11): “io do loro la vita eterna” (Gv 10,28). Se Gesù è il Pastore che “conosce coloro che ha scelto” (cf. Gv 13,18 come dirà a Pietro subito aver lavato i piedi ai discepoli), ci conosce “come il Padre conosce lui e lui conosce il Padre” (cf. Gv 10,15). Gesù instaura con noi suoi discepoli la medesima relazione d’amore che ha con il Padre! E ci chiama ad entrare in quella stessa relazione d’amore che fa di Lui e del Padre una cosa sola: “Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (Gv 17,25-26). Questa è la vita eterna: conoscere l’amore del Padre, così come il Figlio ce lo ha rivelato nel suo amare i suoi fino alla fine (cfr. Gv 17,3). Ed ecco che il vangelo si chiude con un’altra bellissima immagine che sovrappone il volto del Figlio e quello del Padre Pastore: “nessuno strapperà (le pecore) dalla mia mano. (…) e nessuno può strapparle dalla mano del Padre” (Gv 10,28.29). Un’unica mano custodisce la vita dei discepoli. Quella del Figlio, distesa sul legno della croce e quella del Padre che dona il Figlio. Sono mani che custodiscono nel momento in cui sono spalancate al dono, finché tutti i figli di Dio possano conoscere “Dio che è amore” (1Gv 4,8) e fino a che punto si sia spinto il suo amore: “fino alla fine” (Gv 13,2). “In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito perché noi avessimo la vita per mezzo di lui” (1Gv 4,9).
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