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Dal vangelo secondo Marco (Mc 10,2-16)
In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall'inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio». Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.
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Accogliere!
Nel percorso domenicale sul vangelo di Marco siamo arrivati al cap. 10, dal quale la liturgia della XXVII domenica del tempo ordinario ci propone due episodi. Nel primo si avvicinano a Gesù alcuni farisei per interrogarlo su una questione di “liceità”, non certo per imparare ma “per metterlo alla prova” sul tema delicato del matrimonio (Mc 10, 2-12); nel secondo vengono portati a Gesù dei bambini per ricevere da lui la benedizione (Mc 10, 13-16).
Sappiamo che Gesù è in cammino verso Gerusalemme e ora è arrivato nel territorio della Giudea, dove come al solito, insegna alle folle accorse per ascoltarlo. Questo suo insegnamento si inserisce tra il secondo (Mc 9, 30-32) e il terzo (Mc 10, 32-34) annuncio della passione. Questi annunci scandiscono il suo cammino verso la Città Santa, cammino che dovrà aiutare i discepoli a cogliere il significato della sequela e le sue esigenze.
Nel nostro testo dal v. 2 al v. 9 abbiamo a che fare con una controversia classica di Marco alla quale l’evangelista, come ha fatto in precedenza, aggiunge un breve discorso di Gesù ai discepoli in privato (vv. 10-12). Alcuni farisei che erano tra la folla si avvicinano a Gesù e gli pongono una domanda-trabocchetto, ossia se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie (Mc 10,2). I farisei, infatti, conoscevano bene il contenuto della legge e volevano solo metterlo alla prova. Gesù li controinterroga chiedendo che cosa abbia ordinato Mosè, e lo fa per spostare il discorso da Mosè a un livello diverso, quello del piano originario di Dio: “Ma dall'inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto" (Mc 10, 6-9).
Lo spostamento, potremmo dire, è dalla legge (cosa si può fare o non si può fare) alla promessa di Dio: cosa Dio promette. Per cui, da una parte c’è ciò che noi dobbiamo fare (la legge) e dall’altra ciò che soltanto Dio può fare (la creazione). Quindi per i farisei la domanda è: cosa è lecito o non è lecito? Mentre per Gesù la domanda diventa: cosa vi promette Dio? Cosa fa Dio per voi?
Gesù cerca di farci passare dal legalismo, quindi dalla legge data per la durezza del nostro cuore, che non crede alla libertà e alla fedeltà di Dio, alla verità del disegno di Dio sull’uomo. Il cuore indurito, chiuso all’opera di Dio, è incapace di lasciarsi raggiungere da quell’Amore che rompe ogni confine, perché a chi accoglie la logica del Regno viene offerta una nuova possibilità. La legge di Mosè in qualche modo si è fatta carico del peccato dell’uomo offrendo un rimedio misericordioso alla durezza del cuore, ma dal passo del Deuteronomio (24,1), riguardante la procedura mosaica del divorzio, Gesù risale al testo splendido della Genesi dove l’amore tra l’uomo e la donna diviene segno trasparente di ciò che Dio congiunge (v. 9). Ciò che unisce è la qualità dell’amore che Lui ci dona: un amore fedele, accogliente, fecondo. Da questo amore niente, neppure il peccato o la durezza del nostro cuore, può separarci (cfr Rm 8, 35-39).
L’uomo separa; come permettere a Dio di congiungere ciò che noi separiamo? Questa è la vera domanda. Gesù ci rivela che la volontà originaria di Dio per l’uomo e la donna, nella loro unicità e alterità, è la relazione, è quell’amore che ha il proprio fondamento nell’amore di Dio per l’umanità. Umanità con la quale Dio fin dal principio ha stretto la sua alleanza. Infatti tutta la storia della salvezza non è altro che la narrazione della storia d’amore fra un Dio-Sposo che stringe alleanza con il popolo che si è scelto e che ha chiamato ad appartenergli: Israele-Sposa. Ma Israele spesso spezza questo legame, tradisce Dio e lo ripudia con altri “idoli”, ma Dio non può abbandonare il suo popolo, il suo amore non viene meno perché il suo amore è per sempre.
Ora il primo episodio passa direttamente dalla parola di Gesù rivolta in privato (in casa) ai suoi discepoli, che lo interrogano ancora sullo stesso argomento, all’arrivo dei bambini per essere toccati e benedetti da Gesù (secondo episodio). Ma i discepoli hanno un atteggiamento di rimprovero, non si sa se contro i bambini o contro coloro che li hanno accompagnati, tuttavia suscitano indignazione da parte del Maestro che già, in Marco 9, 36-37, aveva parlato ai suoi sull’accoglienza dei bambini: “chi accogliere i bambini nel mio nome accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato". Evidentemente i discepoli erano rimasti ancora all’interno della logica del potere e del primo posto, su cui stavano discutendo tra loro (Mc 9, 34-35) prima che il Maestro parlasse dei bambini.
E’ significativo che dopo tutto quello che è preceduto fin qui, Gesù benedice i bambini che vanno a lui: "Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso". E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro” (Mc 10, 14-15), così facendo lo sguardo si sposta sul Regno di Dio. L’affermazione di Gesù che il regno di Dio è accessibile a coloro che lo accolgono come un bambino, non rimanda né all’innocenza né alla purezza, ma piuttosto alla debolezza, all’impotenza. Il bambino è colui che non può fare affidamento sulle proprie forze, ma su ciò che riceve da altri. Quindi ora si tratta di accogliere il regno di Dio così come lo accoglierebbe un bambino: come un dono da ricevere senza pretendere di conquistarlo, accoglierlo con l’atteggiamento di chi, come un bambino, non può rivendicare nulla ne accogliere nulla da sé stesso.
Gesù accoglie i bambini li abbraccia, li benedice, li tocca imponendo loro le mani, e nello stesso tempo sottolinea il nostro dover accoglierli perché così è il regno di Dio: da un lato è la manifestazione di un amore che ci accoglie persino nelle nostre debolezze; dall’altro è la manifestazione di un amore che si dona gratuitamente alle nostre debolezze.
A chi è come loro appartiene il regno di Dio!
Gesù ci mostra che è possibile avere uno sguardo diverso nelle relazioni e su di noi, prendendo sul serio la nostra vocazione originaria alla comunione e all’accoglienza, che è tale da non permettere nessun impedimento, perché innestata in quell’Amore più grande che rende possibile ogni cosa.
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